domenica 23 settembre 2007

Le mie prime volte



Tempo fa mi chiedevo: quand’è troppo tardi? Arriva per forza un momento in cui uno è incastrato così bene in tutto quello che lo circonda che non può più uscirne fuori. È un fatto, innegabile quanto triste. La mia domanda era: quando succede tutto questo? Quando hai 40 anni? Trenta? Domani mattina? Per un Bukowski che cambia la sua vita di merda a 50 anni ci sono milioni di persone che invece a 20 hanno già finito.
Bukowski ha avuto fortuna, certo. La fortuna, senza quella non si fa, questo è un fatto. La fortuna è tutto quello di cui un uomo ha bisogno. Quella, e la Speranza. Parola magica, questa. Il motore che continua a pompare anche quando l’ultima goccia di benzina è andata. La colla che tiene tutto.
Speranza.


Con la Speranza che andava e veniva nei giorni più grigi mi chiedevo, è tardi avere la propria prima volta a 28 anni?
Stavolta la risposta ce l’ho: neanche per il cazzo. Nella mia prima settimana qui in Australia ho avuto tante di quelle prime volte che età e giorni bui non contavano più niente. Era sempre come il primo giorno della vita: caotico, confuso, così emozionante da spaccarti il cuore, una voglia di piangere senza riuscirci e tantissime luci anche se intorno è tutto buio.
Semplicemente.


Ho avuto la mia prima notte australiana in una casa enorme in cima alla collina, popolata da angeli biondi leggeri & gentili, con l’impossibilità a dormire un po’ per il jet-lag, un po’ perché là fuori c’è il tuo sogno di una vita e, cazzo, mica puoi restartene a dormire!
Ho avuto il mio primo risveglio –come se fosse il primo davvero- con versi di uccelli che non credevo esistessero, e che a prima botta ti fanno pensare che qualcuno ha lasciato SuperQuark a tutto volume.
Ho avuto il mio primo cielo australiano, ancora in pigiama e tutto, e lasciate che ve lo dica: è davvero così assurdamente blu come dicono.


Ho avuto il mio primo giro in auto, con le strade invase dalla luce e dal calore anche se dovrebbe essere inverno. La prima cosa che noti per strada sono i colori, così forti, così VIVIDI, che ti sembra di non aver mai visto un colore prima in vita tua, nemmeno se hai già 28 anni. È così chiaro che ti abbaglia e ti fa male all’inizio. I tuoi occhi europei devono abituarsi un secondo a tutto quello che ti investe, a quei fiori, a quegli alberi mai visti che spuntano ad ogni angolo della strada, così che ti sembra di camminare sempre in un’enorme eterna foresta. I negozi e le case, tutti bassi e colorati e cosi coloniali da cercare con gli occhi il prossimo saloon.
Ho avuto –anche se erano solo le 11 di mattina- la mia prima VB (la birra più australiana che esista) nel mio primo pub, con tavoloni di legno lucido in cerchio e schermi con le partite di rugby e il barista che mi chiede se voglio qualcosa mate, sempre quella parola, amico, dappertutto. Meravigliosa. Sorseggio la birra fredda mentre mi guardo intorno, eccitato come un bambino al primo luna-park della sua vita, e aspetto la prima volta più attesa della mattinata.
Col mio amico australiano mi infilo dietro un palazzo bianco sbiadito dal sole, tra cucine e avanzi di cibo, e di nascosto saliamo le scale, solo ieri ero in volo, solo 2 giorni prima a Roma, una settimana prima nel Bucodiculo, adesso salgo per le scale di questo palazzo a Manly, una delle spiagge più belle di Sydney, e infine arrivo in terrazza e lì ho la mia prima volta.
Io e l’Oceano ci guardiamo con occhio strano per un secondo o due, poi ci lasciamo andare e ci abbracciamo come farebbero due vecchi amici che si reincontrano sbronzi dopo tanto tempo che non si vedevano –dopo tutta una vita. alla fine, eccolo. E’ maestoso, è vasto, è semplicemente bellissimo. È dappertutto, ti riempie gli occhi e il cuore, come un’alluvione ma ben accolta. Mi sembra di aver percorso tanta strada per arrivare fin qui e per poter confermare quello che pensavo: il Pacifico è davvero blu come nei miei sogni.
Inspiro forte l’aria, che qui mi sembra diversa, tutto mi sembra diverso. È inverno e ragazzi in muta si aggirano con una tavola da surf. Il mio amico mi parla in inglese. Il sole è in ogni cosa, semplicemente. Mi faccia attraversare da tutto, senza fermarmi ad una sola sensazione. Ancora una volta vorrei piangere, ma sono troppo felice per farlo.
Mentre i gabbiani passano e la brezza mi bacia ogni singola cicatrice, guardo questo mio vecchio amico blu –blu come il cielo- ed ho questa fortissima sensazione. La sensazione di essermi seduto al tavolo coi più forti del mondo, e di aver vinto.
Fisso ancora una volta l’oceano, imponente e discreto. Di là oltre l’orizzonte c’è l’America. L’Africa. Poi di nuovo l’Europa. Il Mondo. Inspiro ancora un po’. Fortuna e Speranza, amici miei.
Non serve nient’altro.
Marco

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