mercoledì 8 luglio 2009

Pioggia

Pioveva, quel giorno lì. Lo ricordo bene.

Ero appena uscito dall’ufficio immigrazione. Dovevo sbrigare delle cose. Non stavo molto bene. Avevo il raffreddore. Non stavo molto bene e avevo il raffreddore.

Allora mi ritrovai sotto un cielo grigio, senza luce. Una pioggia lenta, fitta. Scendeva come lacrime, come piccoli zampilli di sangue, come gocce d’orrore sulla folla muta.

Pioveva, e io guardavo una città che guardava me. La guardavo sapendo che quella era l’ultima volta che la vedevo.

La guardavo, e non riuscivo a smettere di bagnarmi sotto quella pioggia lenta e calda.

Avevo pensato di fare un salto a Circular Quay, a farmi bagnare da quella pioggia davanti all’Harbour Bridge e all’Opera House, per l’ultima volta.

Alla fine non lo feci. Non mi piacciono le ultime volte. Mai piaciute. Io sono uno studente della vita. Le prime volte sono più interessanti.

E poi...

Avevo visto il ponte e l’Opera House in un giorno di sole. Il cielo era di quel blu, malato e brillante. Il sole aveva una forza e un’allegria che sconoscevo. Il mare era la cornice perfetta. Avevo visto tutto quello una vita prima –una gran bella vita- e adesso non avevo nessuna voglia di vederlo sotto la pioggia. Non era quello il suo posto. Sapevo che quella pioggia con gocce salate stava bagnando anche quei posti. Io non volevo essere lì, però.

Salii sul primo autobus. Timbrai il mio ultimo biglietto. Mi sedetti composto.

Tornando a casa, non guardai dal finestrino nemmeno una volta.

Il giorno dopo aveva smesso di piovere. Le pozzanghere però erano dappertutto. Non si poteva fare a meno di pestarne qualcuna, camminando con le valigie ancora piene.

C’era stato un hotel Morgana, c’era stato un biglietto, c’era stato un sogno, c’era stato tutto quello che di solito sta in una vita intera. E adesso quella stessa vita l’avevo rimessa in valigia, la vita di un tizio che non ha mai smesso di trovare stupida la vita stessa, a volte perfino inopportuna, inutile, la vita di uno a cui sono mancate tante cose, che ne ha avute troppe, la vita di uno che non si lascia mai in pace, la vita di uno che non smette di crederci nonostante occhi neri e piogge calde e salate, la vita di uno che non ha mai smesso di cadere, e non ha mai smesso di rialzarsi. La vita di uno che ne ha nove come i gatti, e una, la più bella forse, l’ha lasciata proprio lì, in quel giorno di sole e nuvole a Sydney.

E mentre la lasciava, aveva un solo pensiero in testa: riprendersela.

Tornare.

Tornare.

Tornare.

Il sole intanto asciugava le pozzanghere e il sipario calava ancora una volta.

Cambio scena, diceva una voce.

Cerco il copione. Non lo trovo, come sempre.

Mi siedo nell’aereo, e aspetto un'estate dopo tutto questo inverno.

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