martedì 28 giugno 2011

Camere separate



Il libro comincia con un viaggio, e finisce con un altro viaggio. La persona che viaggia è Leo, il protagonista, che altri non è che l’autore, Pier Vittorio Tondelli. Per gli amici, Pier. E lui, Tondelli, ti viene subito da chiamarlo Pier.
Forse aveva ragione il giovane Holden: un libro vale qualcosa solo se, una volta finito, ti viene voglia di chiamare al telefono l’autore.
Personalmente, un colpo di telefono gliel’avrei fatto volentieri. Però Pier è morto, poco dopo questa libro, e anzi già in questo libro la morte ha una sua parte importante. Tra un viaggio e l’altro, tra mete e ritorni che si confondono e vogliono dire sempre qualcos’altro.
Non per niente, Leo sta scappando dalla morte. Da scrittore in crisi creativa, e da neo-trentenne in crisi esistenziale, si imbarca in un giro solitario per l’Europa. Non vuole vedere nessuno, non vuole parlare con nessuno, non vuole scrivere. Tutto è stato detto, per Leo. Qualche tempo prima ha assistito alla morte lenta di Thomas, suo compagno da qualche anno. Una storia che sembrava poco importante per tutti, tranne che per loro due.
Leo comincia a vagare, a spostarsi, a cercare e a non voler trovare. Come se fosse arrivato nel fondo, e ci si fosse adagiato. Tra una sosta e l’altra, ricorda la storia con Thomas. Lui giovane musicista, timido, insicuro, accanto a Leo scrittore affermato, già adulto, passionale e confuso. Leo ricorda gli scontri, le liti, il dolore e il loro essere obbligati a vivere in camere separate, non solo per la distanza tra Italia e Germania, ma anche per i loro diversi modi di intendere la vita e l’amore. Si scrivono lunghe lettere, e Leo piano piano comincia a far pace con quella parte di sè inquieta, allergica ai rapporti lunghi, bisognosa d’affetto ma cocciuta fino all’autodistruzione. Tutto, finchè Thomas muore e Leo comincia il suo blues che lo porta a viaggiare, a tornare sui suoi passi, a far visita anche ai suoi, nel borgo dal quale era fuggito anni prima.
Tutto questo è “Camere separate”, semplicemente uno dei migliori libri italiani che mi sono mai trovato tra le mani. L’ho letto, l’ho riletto e prima che me ne accorgessi avevo ricominciato per la terza volta. Conoscevo Pier, e sapevo che riusciva a cambiare completamente tono e stile ad ogni libro. Avevo molto apprezzato “Altri libertini”, il suo best-seller, 6 racconti scritti con crudezza e rabbia e che avevano fatto girare le palle ai censori dell’epoca. Avevo apprezzato meno altri libri, ma questo “Camere” è una storia a sè. E’ un libro maturo, per quel che cazzo può voler dire questo. Un libro di una persona che non si è mai lasciata in pace, che ha fatto a botte con sè stessa e adesso è in grado di mostrare lividi e cicatrici con orgoglio, perchè finalmente hanno anche loro un senso. Un romanzo compiuto, che sembra parlare solo di amore o solo di morte, e invece dentro trovi un mondo, un periodo storico, una voglia e una tristezza che non ti saresti aspettato.
Il tutto, in un linguaggio che mi avrebbe fatto alzare la cornetta per chiamarlo e dirgli –ehi Pier, figlio di puttana, alla fine ce l’hai fatta. Dopo aver sperimentato tanto, qui arriva ad una lingua sciolta, musicale, precisa come lama, che dice quello che deve dire senza farti perdere altro tempo. Una prosa come se ne trova raramente, e che andrebbe studiata per bene.
“Camere” è anche un ultimo libro. Pier se n’è andato quando aveva raggiunto il suo obiettivo. Sapeva già qualcosa del suo destino, che non lascia affiorare se non nelle ultime righe del libro. E questo aggiunge solo coraggio e bellezza, ad un’opera che già spiazza e consola.
Magari un colpo di telefono provo a farlo lo stesso, Pier. Intanto vado per la terza rilettura.
E voi, che cazzo state aspettando a farvi la prima?

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